martedì 16 luglio 2024

Vademecum - La Conciliazione In sede Sindacale

 


Dalla parte dell'agente SEMPRE


Vademecum

 

La

 

 Conciliazione

 

 in sede 

 

Sindacale


Giovanni Di Pietro

Conciliazione in sede Sindacale,

artt 409/410/411/412 c.p.c.

nota n° 163 del 17/05/2018 I.T.L.


La conciliazione in sede sindacale, ai sensi dellart. 411, comma 3, c.p.c., non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo questultima essere annoverata tra le sedi protette, avente il carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente alla assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontò del lavoratore. - Pertanto la conciliazione in sede aziendale è nulla .






Non tutti i Sindacati possono procedere alla stipula delle conciliazioni Sindacali  

La maggiore rappresentatività dell’organizzazione sindacale

Un altro elemento fondante ai fini della tenuta dell’accordo conciliativo è rappresentato dalla maggiore rappresentatività dell’organizzazione sindacale incaricata dell’assistenza dal lavoratore.

Con la nota del 17.05.2018, n. 163, l’INL ha chiarito che il possesso di elementi di specifica rappresentatività deve esser letto alla luce del novellato art. 412 cpc-ter (la conciliazione in sede sindacale è svolta presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative).

Convocazione delle Parti.

Mandante ed Agente

          ↓

Assistenza Fornita

dall’associazione Sindacale all’agente

L’assistenza è un elemento imprescindibile

e sufficiente per la validità della

conciliazione sindacale

e per la sua registrazione presso il D.T.L.

La legge prevede il Requisito di Autenticità

del verbale di conciliazione

Consente il deposito

del verbale presso

la cancelleria del Tribunale

Il verbale rappresenta

un titolo esecutivo


Il Titolo esecutivo è rappresentato da un documento come una sentenza, un decreto ingiuntivo, una cambiale, un assegno o una Conciliazione Sindacale o altri atti o documenti cui la legge attribuisce efficacia di titolo per ottenere l’esecuzione Forzata e il Pinoramento

CONCILIAZIONE SINDACALE

Cos’è la conciliazione sindacale?

La Conciliazione è rappresentata da un atto con il quale due soggetti come datore di Lavoro e lavoratore mettono fine ad un contenzioso economico concedendosi reciproche rinunce addivenendo ad un accordo transattivo, artt 409 e segg. c.p.c.

La Conciliazione può essere di due tipi:

1) Conciliazione Giudiziale: il tentativo di Conciliazione in Tribunale;

la conciliazione Giudiziale, è quella che avviene in tribunale davanti al magistrato. Una volta iniziata la causa, il magistrato ha l’obbligo di invitare le parti a cercare un accordo prima dell’inizio delle varie udienze, ma può avvenire in qualsiasi momento della causa. Se si raggiunge l’accordo si stipula davanti al magistrato stesso un apposito verbale di “ conciliazione Giudiziale” che mette fine ad ogni lite o si informa il magistrato dell’avvenuto accordo.

2) Conciliazione Amministrativa:

  • Conciliazione presso la Direzione Territoriale del Lavoro

La conciliazione Amministrativa è quella che avviene presso la DTL Direzione Territoriale del Lavoro, oppure in sede Sindacale. Il lavoratore ed il datore di lavoro al fine di evitare l’alea di una sentenza, sono disponibili ad addivenire ad un accordo transattivo. In questo caso chiedono di effettuare la conciliazione o alla DTL oppure in maniera più sbrigativa ed altrettanto valida, decidono di farla in sede sindacale.

  • Conciliazione in sede Sindacale

La conciliazione in sede Sindacale è preferibile in quanto è l’agente che scieglie il sindacato al quale affidare la tutela dei propri diritti. E’ importante che il sindacato sia firmatario dell’AEC al quale il contratto fa riferimento e che sia specializzato in materia di agenzia.

Il Verbale di conciliazione sindacale, sottoscritto da tutte le parti intervenute, può essere depositato presso il DTL divenendo così titolo esecutivo

La conciliazione in sede sindacale è idonea a superare la presunzione di condizionamento del consenso del lavoratore, garantendo la genuinità della scelta dello stesso e la consapevolezza dei diritti dismessi». I ripensamenti, in definitiva, non sono possibili.

La legge 183/2010 ha eliminato l’obbligo di esperire un tentativo conciliativo in sede amministrativa prima di avviare la causa innanzi al giudice del lavoro. Infatti, mentre in passato chi avesse voluto promuovere una causa di lavoro per qualunque motivo, aveva l’obbligo di esperire preventivamente il tentativo obbligatorio di conciliazione avanti all’apposita commissione della Direzione provinciale del lavoro, oggi questo obbligo non esiste più, se non nell’ipotesi in cui si intenda impugnare un contratto certificato.

3) Come avviene la Conciliazione in Sede Sindacale

Generalmente alla fine del rapporto, ma può avvenire anche durante, possono sorgere delle contestazioni di carattere economico, provvigioni non liquidate, indennità non riconosciute, indennità di fine rapporto, in questo caso Il Lavoratore, il Datore di Lavoro e i Rappresentanti Sindacali si incontrano per cercare e trovare un accordo per le rinunzie da parte dell’agente in cambio di una contropartita economica che l’azienda riconosce per metetre fine alla lite.

Una volta raggiunto l’accordo, verrà redatto il Verbale di Conciliazione dal Rappresentante Sindacale de sindacato dove l’agente è iscritto o al quale ha conferito mandato.

Il Rappresentante Sindacale è tenuto a prestare effettiva assistenza al Lavoratore, ovvero deve informarlo di tutti i diritti di cui gode, e delle rinunce che andrà a fare, deve inoltre avvertire il lavoratore circa l’irreversibilità della sottoscrizione.

L’inoppugnabilità della conciliazione prevista nei verbali di conciliazione si ha a condizione che l'assistenza prestata dai rappresentanti sindacali sia certa, mentre non ha valore equipollente la eventuale assistenza fornita da un legale.

IL CONCILIATORE

4) Come si diventa conciliatori

Non si tratta di un vero e proprio mestiere. Di solito, il ruolo del conciliatore sindacale viene assunto da sindacalisti che fanno attività sindacale e che, a margine, acquisiscono anche il titolo per stipulare conciliazioni sindacali. Come vedremo, il conciliare sindacale deve svolgere un ruolo attivo nella conciliazione.

Il conciliatore sindacale non è un pubblico ufficiale ma per diventare conciliatore sindacale bisogna ottenere la nomina dalla propria organizzazione sindacale di riferimento e aver depositato la propria firma presso l’Ispettorato territoriale del lavoro.

5) Qual’è il Ruolo del Conciliatore

E’ un un semplice terzo che, in sede sindacale, una volta accertata la volontà delle parti di addivenire ad un determinato accordo, garantisce con la sua presenza l'assenza di uno stato di inferiorità o soggezione del lavoratore rispetto al datore di lavoro. La sua presenza e la sua sottoscrizione giustifica la previsione di cui all'art. 2113, co. 4, cod. proc. civ. e cioè l'immediata validità di tale conciliazione che non può essere impugnata nel termine di sei mesi ivi previsto, salvo il caso del mancato rispetto dei requisiti minimi di validità del contratto (si veda Cass., 18 agosto 2004, n. 16168; si vedano, sulla effettività della partecipazione del sindacato alla conciliazione, non essendo sufficiente una presenza meramente formale del rappresentante sindacale, Cass. 22 maggio 2008, n. 13217; Cass. 3 aprile 2002, n. 4730, Cass. 13 novembre 1997, n. 11248, sulla necessità che l'assistenza sia offerta dall'associazione cui il lavoratore abbia conferito mandato sindacale, Cass. 22 ottobre 1991, n. 11167; sul rispetto della procedura conciliativa stabilita nei contratti collettivi, Cass. 3 settembre 2003, n. 12858; Cass. 3 aprile 2002, n. 4730).

6) Come si redige il verbale di conciliazione

il Verbale di conciliazione dovrà contenere i seguenti elementi

  1. L’esatta ragione sociale della mandante, la sede legale, la partita iva, i dati dell’amministratore (rinvenibile dalla visura camerale) . ( la legge prevede che la firma sulla conciliazione debba essere apposta dal legale rappresentante della mandante, in alternativa può delegare un terzo a mezzo di procura speciale; la procura speciale è un atto notarile con il quale l’amministratore della mandante delega un terzo a rappresentarlo ed è valido solo per quella transazione).

  2. Il nome del Lavoratore agente, la sua sede legale, il codice fiscale. (è necessaria la sua presenza o un suo delegato sempre con procura speciale)

  3. Eventuale nomi e dati di persone che assistono mandante ed agente.

  4. Le richieste dell’agente motivo della controversia con la specifica di tutte le richieste e delle relative somme, richieste che devono essere determinate e determinabili

  5. Le controdeduzioni della Mandante

  6. La formula di conciliazione con l’importo complessivo oggetto di transazione o per singole voci

  7. La modalità di pagamento avendo cura di dettagliare la forma, indicando eventualmente il numero di rate, la loro scadenza, ed il relativo importo.

  8. La formula di riconoscimento degli interessi commerciali Dlgs. 232/2002 e segg. in caso di dilazione di pagamento o la riserva di richiesta immediata di tutte le somme in caso di mancato pagamento di una sola rata.

  9. L’informativa circa l’inoppugnabilità del presente verbale.

  10. La data e le firme di tutti i partecipanti presenti nel verbale.

Eventuali rinunce sono valide solo per quanto riguarda quanto maturato nel rapporto di lavoro in corso e non potrà prevedere rinunce a diritti futuri.

Finita la redazione del Verbale di Conciliazione, e la loro sottoscrizione, il documento verrà depositato, se richiesto, presso la Direzione Territoriale del Lavoro che ne accerterà l’autenticità e ne curerà il deposito presso la Cancelleria del Tribunale competente.

Con il deposito del Verbale di Conciliazione presso la Direzione Territoriale del Lavoro, la Conciliazione in sede sindacale acquisisce efficacia esecutiva, come avviene per la Conciliazione Amministrativa.

Le rinunce inoltre non possono riguardare i contributi previdenziali. I diritti previdenziali non sono infatti nella disponibilità degli accordi fra i soggetti privati.

Gli accordi di conciliazione sono validi anche se non vengono depositati presso la Direzione Territoriale del Lavoro di competenza né presso la cancelleria del Tribunale. Il visto di autenticità della DTL e il decreto di esecutività del giudice sono infatti adempimenti successivi, il verbale sottoscritto è quello che conta davvero.

7) Verbali di conciliazione in sede sindacale e diniego del deposito presso I.T.L. Nota n. 163 del 17/05/2018 condizione imprescindibile e sufficiente per la validità della conciliazione sindacale è l’assistenza fornita dall’associazione sindacale, e se é correttamente attuata, è elemento valido per il suo deposito presso l’DTL.

Requisito di autenticità del verbale di conciliazione E' richiesto dalla legge Consente il deposito del verbale presso la cancelleria del Tribunale Consente la possibilità di ottenere, su istanza della parte interessata, il decreto di esecutività Deposito del verbale di conciliazione L'O.S.deve risultare in possesso di elementi di specifica rappresentatività. La norma consente la previsione in sede contrattuale di una specifica procedura di conciliazione esclusivamente alle O.O.S.S. dotate del requisito della maggiore rappresentatività. Solo con riferimento a tali fattispecie si rende necessaria la verifica dell’effettiva sottoscrizione da parte dell’O.s. del Ccnl della categoria in esame Ed anche la verifica del grado di rappresentatività dell'O.s., che può essere effettuata mediante l’apposizione sul verbale di un’espressa dichiarazione della stessa di conformità al requisito di cui all’articolo 412-ter c.p.c.

Requisiti richiesti per la conciliazione sindacale La maggiore rappresentatività è necessaria nei soli casi in cui la conciliazione sia stata disciplinata dal C.C.N.L. di riferimento. Non deve essere posta in relazione con la diversa tematica della verifica dei requisiti delle O.o.s.s. per l’applicazione di determinati istituti. L’attività di conciliazione attribuita alle O.o.s.s. affida all’INL il compito di depositario dei verbali, unitamente alla verifica delle relative condizioni di validità degli stessi .

8) Quali sono i compiti del Sindacalista e del Conciliatore

Il ruolo del conciliatore è quello di certificare il raggiunto accordo tra le parti. Deve accertarsi della idendità delle parti oggetto del contenzioso i quali devono essere in presenza o devono essere rappresentati da un terzo muniti di PROCURA SPECIALE; la procura speciale è un apposito atto redatto da un Notaio con il quale una delle parti, amministratore della mandante o agente, affida l’incarico a Conciliare quella sola ed esclusiva vertenza ad un terzo; l’atto deve essere allegato al verbale di conciliazione con i relativi documenti di identita delle parti presenti. Il Sindacalista o il Conciliatore che possono essere la stessa persona, non può limitarsi a fare presenza, «Deve concretarsi in forme di effettiva assistenza del lavoratore. Ciò significa che il conciliatore si deve adoperare quantomeno per rendere il lavoratore cosciente di quali sono i suoi diritti e di quanto va stipulando, e rinunciando, consigliandolo sulle convenienze e avvertendolo sugli effetti dispositivi prodotti, nonché sulla irreversibilità di essi».

9) Quali sono le voci che possono invalidare la Conciliazione in sede Sindacale

Nonostante che il verbale di Conciliazione Sindacale sia inoppugnabile, il legislatore consente al Lavoratore, all’agente, la possibilità di poter impugnare il Verbale qualora vengano riscontrati determinati errori procedurali, ma solo entro sei mesi dalla stipula dello stesso.

Casi in cui è permessa l’impugnazione entro i sei mesi dalla sua sottoscrizione.

  • il Lavoratore non è stato realmente assistito dal Rappresentante Sindacale;

  • non sono state rispettate le procedure nei CCNL di riferimento;

  • Il lavoratore agente ha rinunciato a somme indisponibili quali omessi versamenti della ritenuta d’acconto, omessi versamenti previdenziali, provvigioni occulte che l’agente non ne aveva conosenza al momento della conciliazione.

  • il Lavoratore non ha sottoscritto il Verbale di Conciliazione nè personalmente, nè attraverso procura;

  • il Verbale di Conciliazione è stato redatto senza avere per oggetto le rinunzie determinate;

  • la lite tra Lavoratore e Datore di Lavoro non è reale; *

  • sussistono vizi nel consenso per errore, dolo o violenza.

* una conciliazione dove non risulti il motivo del contendere è nulla.

Non hanno alcun valore legale dichiarazioni liberatorie onnicomprensive come quelle che mettono in campo la «rinuncia a qualsiasi ulteriore rivendicazione connessa al pregresso rapporto di lavoro».

In questo caso, ad essere valorizzata – in senso sfavorevole − non è stata la sola mera funzione “notarile” del sindacalista ma lo sono state anche le complessive situazioni di fatto nelle quali si è venuto a realizzare l’atto abdicativo transattivo. Invero, il “criterio dell’interesse” è certamente un elemento presuntivo valorizzabile in sede di giudizio, soprattutto laddove la necessità di definizione di questioni tra datore di lavoro e lavoratore sia “sfumata” e quindi l’utilizzo della procedura conciliativa possa considerarsi strumentale ad altri interessi aziendali (dimostrati dal fatto che il sindacalista fosse stato contattato dalla stessa società).

Cass., n. 13217/2008:

«L'accordo tra il lavoratore ed il datore di lavoro, nel quale sia identificata la lite da definire ovvero quella da prevenire (unitamente, in tal caso, all'individuazione dell'interesse del lavoratore) e che contenga lo scambio tra le parti di reciproche concessioni, è qualificabile come atto di transazione ed assume rilievo, quale conciliazione in sede sindacale ai sensi dell'art. 411, terzo comma, cod. proc. civ., ove sia stato raggiunto con un'effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti dell'organizzazione sindacale indicati dal medesimo, dovendosi valutare, a tal fine, se, in relazione alle concrete modalità di espletamento della conciliazione, sia stata correttamente attuata la funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa (nella specie, la S.C. ha rilevato che correttamente il giudice di merito aveva escluso che si fosse in presenza di una transazione redatta ai sensi degli articoli 410 e 411 cod. proc. civ. in quanto non sussisteva alcuna controversia tra le parti, la sola società datrice di lavoro aveva interesse a regolare i rapporti con i propri dipendenti nella prospettiva di trasformarsi in s.r.l., e il sindacalista, chiamato dalla società e non dal lavoratore, si era limitato ad elaborare i conteggi, restando estraneo alla vicenda e svolgendo un ruolo di testimone di operazioni – elaborazioni di conteggi – e di fatti – ricostruzione della storia lavorativa del lavoratore – che, lungi dal fornire una consapevole assistenza, era stato successivamente stigmatizzato dallo stesso sindacato di appartenenza)».

Cass., n. 24024/2013:

«In materia di atti abdicativi di diritti del lavoratore subordinato, le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, non sono impugnabili, a condizione che l'assistenza prestata dai rappresentanti sindacali − della quale non ha valore equipollente quella fornita da un legale − sia stata effettiva, così da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura, nonché, nel caso di transazione, a condizione che dall'atto stesso si evinca la questione controversa oggetto della lite e le “reciproche concessioni” in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell'art. 1965 cod. civ».

Cass. n. 4730/02,

«Con riferimento alla conciliazione in sede sindacale ex art. 411, terzo comma, cod. proc. civ., al fine di verificare che l'accordo sia raggiunto con un'effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti della propria organizzazione sindacale occorre valutare se, in base alle concrete modalità di espletamento della conciliazione, sia stata correttamente attuata quella funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa (nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva ritenuto valida la conciliazione che, in base ad una specifica e dettagliata proposta formulata dal lavoratore, era stata perfezionata dinanzi ad un sindacalista indicato dallo stesso lavoratore)».

Orbene, nel caso di specie, sussistevano elementi di una certa pregnanza rispetto alla validità dell’accordo. Infatti, il sindacalista era stato indicato dal lavoratore stesso e la proposta conciliativa derivava da richieste formulate in prima battuta da quest’ultimo.

In una ipotesi del genere appare quindi difficile ipotizzare una forzatura della volontà (o comunque delle prerogative) del lavoratore al fine di accettare la rinuncia o la transazione.

Cass., n. 13217/2008:


«L'accordo tra il lavoratore ed il datore di lavoro, nel quale sia identificata la lite da definire ovvero quella da prevenire (unitamente, in tal caso, all'individuazione dell'interesse del lavoratore) e che contenga lo scambio tra le parti di reciproche concessioni, è qualificabile come atto di transazione ed assume rilievo, quale conciliazione in sede sindacale ai sensi dell'art. 411, terzo comma, cod. proc. civ., ove sia stato raggiunto con un'effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti dell'organizzazione sindacale indicati dal medesimo, dovendosi valutare, a tal fine, se, in relazione alle concrete modalità di espletamento della conciliazione, sia stata correttamente attuata la funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa (nella specie, la S.C. ha rilevato che correttamente il giudice di merito aveva escluso che si fosse in presenza di una transazione redatta ai sensi degli articoli 410 e 411 cod. proc. civ. in quanto non sussisteva alcuna controversia tra le parti, la sola società datrice di lavoro aveva interesse a regolare i rapporti con i propri dipendenti nella prospettiva di trasformarsi in s.r.l., e il sindacalista, chiamato dalla società e non dal lavoratore, si era limitato ad elaborare i conteggi, restando estraneo alla vicenda e svolgendo un ruolo di testimone di operazioni – elaborazioni di conteggi – e di fatti – ricostruzione della storia lavorativa del lavoratore – che, lungi dal fornire una consapevole assistenza, era stato successivamente stigmatizzato dallo stesso sindacato di appartenenza)».

In questo caso, ad essere valorizzata – in senso sfavorevole − non è stata la sola mera funzione “notarile” del sindacalista ma lo sono state anche le complessive situazioni di fatto nelle quali si è venuto a realizzare l’atto abdicativo transattivo. Invero, il “criterio dell’interesse” è certamente un elemento presuntivo valorizzabile in sede di giudizio, soprattutto laddove la necessità di definizione di questioni tra datore di lavoro e lavoratore sia “sfumata” e quindi l’utilizzo della procedura conciliativa possa considerarsi strumentale ad altri interessi aziendali (dimostrati dal fatto che il sindacalista fosse stato contattato dalla stessa società).

Cass., n. 15874/2015

«Il mandato al sindacalista per l'assistenza in sede di conciliazione sindacale, in ossequio al principio della libertà delle forme, in assenza di previsione di forme sacramentali specifiche, può ben essere presunta dalla presenza effettiva del sindacalista stesso che ha sottoscritto l'atto di accordo senza alcuna contestazione da parte della lavoratrice».

Su questa scia sembra anche porsi Cass., n. 20201/17 secondo cui:

«Quanto alla lamentata mancata piena assistenza sindacale, la sede sindacale stessa depone, anche a livello presuntivo, per l'esistenza di una effettiva assistenza e dunque per una volontà non coartata del lavoratore; la sentenza impugnata ha comunque accertato che vi era un sindacalista che assisteva la lavoratrice, pur non essendo quest'ultima iscritta alla relativa associazione sindacale».

La citata decisone ritiene che sia la sede sindacale di per sé a essere indice presuntivo di effettiva assistenza e ritiene irrilevante che la lavoratrice non fosse iscritta alla associazione del sindacalista stesso. È ben vero che tale sentenza richiama Cass., n. 4720/2002 ma è altrettanto vero che Cass., n. 20201 cit. appare addossare alla ricorrente l’onere della prova circa la effettività dell’assistenza. Certamente la decisione potrebbe essere stata influenzata dal caso concreto sottoposto alla sua attenzione, ma non sfugge che la stessa rinviene – espressamente, come si evince dalla parte di motivazione richiamata – una presunzione di effettiva assistenza nella “sede sindacale” in sé [6].

Cass., n. 1804/88

«Qualora, mediante reciproche concessioni, il datore di lavoro ed il lavoratore definiscano in Sede sindacale, secondo le formalità fissate dall'art. 411 cod. proc. civ., una contesa già in atto, o anche una contesa potenziale in relazione a pretese non ancora esteriorizzate in specifiche istanze, l'inoppugnabilità del relativo negozio transattivo, pure per la parte in cui contenga una rinuncia del lavoratore a propri diritti, secondo l'espressa previsione dell'ultimo comma dell'art. 2113 cod. civ., non richiede che il verbale conciliativo contenga una specifica approvazione per iscritto di detta rinuncia (non ricorrendo ipotesi di applicabilità dell'art. 1341 cod. civ.) ne' che il verbale stesso venga depositato e sottoposto al controllo del pretore per essere reso esecutivo, restando inoltre irrilevante la circostanza che l'ufficio provinciale del lavoro o la commissione di conciliazione, o i conciliatori nominati dalle rispettive organizzazioni di categoria, abbiano attivamente partecipato alla composizione o si siano limitati a registrare l'accordo intervenuto direttamente fra le parti, dato che in entrambe le ipotesi la presenza di detti organi è idonea a sottrarre il lavoratore ad una condizione di soggezione rispetto al datore di lavoro. (principio affermato con riguardo a conciliazioni stipulate da singoli lavoratori in attuazione dell'accordo sindacale del 17 giugno 1977 sul cosiddetto esodo agevolato e considerate preclusive dell'accoglimento della pretesa di computo del compenso per lavoro straordinario nella Determinazione di competenze indirette)».

Cass., n. 13910/1999

«È evidente che non minori debbano essere le garanzie formali in caso di conciliazione sindacale, per la quale pure si deve pretendere che essa risulti da un documento sottoscritto dalle parti e dai rispettivi rappresentanti sindacali, anche al fine di verificare, con la loro contestuale sottoscrizione, il rapporto fiduciario intercorrente, sicché il requisito della fiduciarietà può ritenersi normalmente integrato dalla firma contestuale del lavoratore e del rispettivo rappresentante sindacale. Infatti dal principio di libertà sindacale di cui all'art. 39 1^ comma Cost. e dalla funzione dell'assistenza sindacale alla conciliazione di cui all'art. 411 3^ comma c.p.c., discende quanto affermato da questa Corte (Cass. Sent. 11167/1991 cit.) circa la necessità che il lavoratore sia assistito da esponente di sindacato di fiducia del lavoratore stesso».

La stessa sentenza richiama la necessità di una effettiva partecipazione del rappresentante sindacale.

Cass., n. 11248/1997

«Il Tribunale, nel delineare l'ambito delle rinunzie e transazioni sottratte al regime ordinario previsto dall'art. 2113 cit., ha espresso un principio pienamente coerente a quello più di recente enunciato da questa Corte (secondo cui la conciliazione in sede sindacale, ex art. 411 c.p.c., presuppone “un'effettiva assistenza” del lavoratore da parte degli esponenti dell'organizzazione sindacale, e non la mera partecipazione di essi alla relativa procedura”)».

La citata decisione richiama il precedente di cui a Cass., n. 11167/1991 secondo cui:

«La suddetta forma di protezione giuridica è stata però ritenuta non necessaria (art. 2113, ult. comma cod. civ.) in presenza di adeguate garanzie costituite dall'intervento di organi pubblici qualificati e cioè il giudice (art. 185 cod. proc. civ.) e la commissione di conciliazione istituita presso ciascun ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione (artt. 410 e 411, commi 1 e 2, cod. proc. civ., nuovo testo) nonché degli organismi sindacali (art. 411, comma 3). Con riferimento a questi ultimi e ritenendosi ormai dalla maggior parte della dottrina nonché dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. p. es. le sentenze 2 settembre 1986 n.5379, 15 giugno 1987 n. 5274, n. 5832 del 1987 cit. e Sez. Un. 10 maggio 1988 n. 3425) la relativa inclusione nella deroga di cui al cit. art. 2113, ult. comma va subito detto che […] ciò che è imprescindibile è che positivamente risulti che vi sia stata un'effettiva assistenza del lavoratore da parte di “propri” rappresentanti sindacali. Quale che possa essere invero la configurazione giuridica del rapporto fra il sindacato e l'aderente ad esso, è evidente che solo i “propri” rappresentanti sindacali sono quelli qualificati ad assistere il lavoratore ed a tutelare i di lui interessi, impedendo pertanto quel vizio d'invalidità che altrimenti inquinerebbe l'atto di rinunzia o transazione. È questo un profilo delicato e sommamente importante dell'indagine che deve compiere il giudice di merito onde accertare che vi sia stata effettiva assistenza del lavoratore, assistenza che può essere offerta solo dagli esponenti di quell'organizzazione sindacale alla quale il lavoratore medesimo abbia ritenuto di affidarsi. Altre forme di presenza non possono pertanto ritenersi al riguardo idonee a sottrarre la rinunzia e la transazione al regime legale d'invalidità di cui si è detto, in relazione al che va richiamato quanto esplicitamente enunciato da questa Corte circa la inidoneità, per ritenere inoppugnabile la transazione, di una solo “generica assistenza sindacale” (cfr. la sentenza 17 gennaio 1984 n. 391 richiamata dal ricorrente)».

Sembra invece assumere una posizione intermedia Cass., n. 12858/2003:

«Essendo, infatti, essenziale l'assistenza effettiva dell'esponente sindacale, idonea a sottrarre il lavoratore a quella condizione di inferiorità che, secondo la “mens legis”, potrebbe indurlo altrimenti ad accordi svantaggiosi, sembrano alla Corte sufficienti, alla realizzazione di tale scopo, a far ritenere cioè la idoneità dello stesso rappresentante sindacale a prestare in sede conciliativa l'assistenza prevista dalla legge, l'appartenenza del rappresentante sindacale al medesimo sindacato e il conferimento da parte del lavoratore dell'incarico necessariamente sottostante all'attività svolta dal primo (cfr. sulla sussistenza di un mandato Cass. 11 dicembre 1999, n. 13910 in motivazione). La compresenza del rappresentante sindacale legittimato e dello stesso lavoratore al momento della conciliazione lascia di per sé presumere l'assistenza del primo, tale essendo lo scopo per cui è stato chiamato a prestare opera di conciliatore, sicché sarebbe stato onere del dipendente tempestivamente dedurre e quindi provare che il rappresentante sindacale, pur presente, non abbia prestato assistenza di sorta».

Per tale sentenza, la presenza di un sindacalista appartenente all’organizzazione di fiducia del lavoratore costituisce indice presuntivo di effettività dell’assistenza, ribaltando l’onere della prova a carico del lavoratore che vuole invalidare l’accordo.

In senso maggiormente “estensivo” (pur nella sinteticità della motivazione) sembra collocarsi anche

Cass., n. 4413/84.

Alla luce di questo complessivo excursus della giurisprudenza di legittimità, deve nondimeno ritenersi che – in un sistema nel quale, complessivamente, le tutele del lavoratore hanno subito un arretramento – sia ancora da ritenersi valido l’orientamento, che può definirsi maggioritario, secondo cui la mera presenza di un rappresentante sindacale «non può certamente ritenersi quale sinonimo di assistenza effettiva». Invero, la valutazione degli esiti conciliativi e della loro inoppugnabilità resta ancorata alla valutazione di effettività secondo le regole sull’onere della prova che saranno di seguito esposte. Discorso parzialmente diverso, cfr. infra, è quello se il rappresentante sindacale debba provenire dalla medesima associazione sindacale di cui fa parte il lavoratore o comunque essere da questo indicato si ritiene di poter affrontare questo aspetto nella parte relativa all’onere della prova).

Qual’è la sede dove effettuare la conciliazione?

Assistiamo molto spesso alla convocazione del lavoratore agente presso la sede della mandante al fine di redigere l’atto conciliativo in mancanza non liquidano le indennità di fine rapporto. Tale prassi mette in dubbio la validità della conciliazione stessa ed è ritenuta nulla dalla Suprema Corte di Cassazione se contestata dall’agente entro i sei mesi. I motivi della invalidità sono prettamente due e di carattere formale;

Il primo è rappresentato dalla mancanza del motivo del contendere, ovvero, perché sia valida la conciliazione deve esserci in atto una lite, una contestazione, l’agente chiede 100 la mandante offre 20 e ci si accorda per 60/70, la conciliazione non è valida se non esiste una contestazione. Il secondo è dovuto alla sede della conciliazione. In merito il tribunale di Roma, con la sentenza n. 4354 emessa l’8 maggio 2019, dopo ampia ed esaustiva argomentazione, ha sancito un principio di diritto rilevante. Successivamente con sent. N° 1065 del 15/04/2024, la suprema Corte di Cassazione ribadì la non validità della Conciliazione se non fatta presso la sede sindacale.

Il ricorso al tribunale del lavoro di Roma per chiedere l’invalidità del verbale di conciliazione è stato promosso da una lavoratrice che ha contestato la validità del verbale di conciliazione con il quale aveva rinunciato ad alcune rivendicazioni economiche Infatti, la ricorrente denunciava di essere stata convocata presso l’azienda e, nella sala riunioni dell’azienda, alla presenza di un consulente del lavoro e di un sindacalista, l’aveva invitata a sottoscrivere un documento intestato «verbale di conciliazione in sede sindacale» dicendole che «la firma dello stesso era condizione per proseguire il rapporto» e che «in mancanza sarebbe finito seduta stante». Quindi vi è stata una vera è propria costrizione per salvaguardare il proprio posto di lavoro. Il datore di lavoro, si difendeva chiedendo che il giudice dichiarasse l’inammissibilità del ricorso per intervenuta rinuncia all’esercizio del diritto a seguito della sottoscrizione, da parte della lavoratrice, del verbale di conciliazione.

Il Giudice rilevava che la conciliazione stragiudiziale può svolgersi facoltativamente o in sede amministrativa ai sensi dell’art. 410 c.p.c. (e precisamente davanti alle apposite commissioni dell’ITL o dinanzi alle commissioni di certificazione di cui all’art. 76 del d.lgs. n. 276 del 2003) o in sede sindacale, ai sensi dell’art. 412-ter c.p.c. La conciliazione oggetto di contestazione non si sarebbe svolta “in sede sindacale”, in quanto la riunione si era stata svolta presso i locali aziendali e seppure con la presenza del sindacalista, quest’ultimo non aveva offerto una tutela difensiva adeguata (sulla necessità dell’effettività dell’assistenza prestata dal sindacalista ai fini della validità della conciliazione, v. Trib. Roma, 13 novembre 2018, n. 8640, in banca dati DeJure; Cass. 22 maggio 2008, n. 13217, in GD, 2008, n. 31, 79; App. L’Aquila, 10 marzo 2016, in Ilgiuslavorista.it, 9 maggio 2016, che vede nella forma di assistenza effettiva un modo per sottrarre il lavoratore al metus nei confronti del datore di lavoro) essendosi limitato «a presenziare ed a dare lettura del verbale […] e a spiegare che con la sua sottoscrizione non sarebbe più stato possibile svolgere successive contestazioni», senza illustrare in alcun modo «la portata della decisione di aderire alla conciliazione sul piano dei costi/benefici, limitandosi ad affermare l’irrevocabilità della scelta». Pertanto, poiché le rinunce erano particolarmente gravose, dall’istruttoria è emerso che il sindacalista non conosceva la vicenda lavorativa personale della lavoratrice così da consentirle l’esercizio di un consapevole consenso alla sottoscrizione.

La sentenza sembra richiamare l’interpretazione espressa dal Ministero del Lavoro nella nota del 16 marzo 2016 n. 37/5199, dove aveva ribadito che era necessario rispettare le procedure laddove previste dai contratti o dagli accordi collettivi. Ma sembra aver ripreso anche quel filone giurisprudenziale che già aveva ravvisato l’alternativa, in caso di conciliazione, tra la conciliazione in sede amministrativa e quella nelle sedi indicate negli accordi e contratti collettivi (Cass. 3 aprile 2002, n. 4730, in RIDL, 2003, n. 1, II, 178). In sostanza, la procedura e il rispetto della sede individuata dal contratto collettivo rafforzerebbe quell’effettività che la tutela sindacale deve apportare nel processo di conciliazione.

Non sempre la contrattazione collettiva AEC stabilisce le modalità procedurali e, molto spesso, le conciliazioni, già preparate dalla mandante in tutti i contenuti (anche con elementi del tutto estranei alla effettiva controversia) vengono sottoposte ai lavoratori interessati, avanti al conciliatore sindacale che limita la propria parte ad una funzione prettamente “notarile” chiedendo all’interessato se è d’accordo.

Ciò, anche a prescindere dalla decisione del Tribunale di Roma, non è corretto, ed è giusto ricordarlo, non vanno bene neanche le sottoscrizioni avanti alla commissione (“rectius” sottocommissione di conciliazione) presso l’Ispettorato territoriale del Lavoro ove l’organo collegiale (vi sono anche i rappresentanti delle parti sociali), attraverso chi lo presiede (in genere, un funzionario dell’Ufficio), si limita, soltanto, a leggere il verbale ed a chiedere se si è d’accordo.

Spesso ciò è sufficiente , ed anche il comportamento può essere idoneo, ma altre volte, il lavoratore potrebbe trovarsi in una condizione di soggezione (materiale o psicologica, non importa), ed a questo punto è indispensabile un comportamento attivo e di assistenza, pur nel rispetto della terzietà.

L’aspetto della “effettiva assistenza” svolta dal rappresentante sindacale è, basilare: anche per evitare possibili controversie, anzi, sarebbe opportuno richiamare nel verbale l’assistenza effettivamente resa, dando atto che la stessa si è, effettivamente, svolta. ue parole, infine, a commento della sentenza del Tribunale di Roma.


Gli Uffici territoriali dei Sindacati Usarci sono abilitati ad effettuare la Conciliazione in sede Sindacale ed a rappresentare gli agenti nelle controversie con le mandanti essendo tra i Sindacati Più Rappresentativi e firmatari di tutti gli AEC.

Inoltre, a richiesta possono fornire Consulenti Tecnici di Parte (CTP ) nelle cause di lavoro in materia di agenzia




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